Severino Nappi

Severino Nappiassessore al Lavoro della Regione Campania, traccia un bilancio dei primi tre anni e mezzo a Palazzo Santa Lucia e affonda sul tema del rapporto tra Sviluppo e qualità.

Con Severino Nappiassessore al Lavoro della Regione della Campania, prosegue la nostra inchiesta sul tema del rapporto tra Qualità e Sviluppo.
L’ultima volta che Nappi ha parlato di qualità è stata una settimana fa, nel corso di un incontro al ministero dello Sviluppo economico. Sotto i riflettori la crisi aziendale della Micron electronics:  “Arzano è un polo di eccellenza per qualità dei lavoratori ed eccellenza della produzione” dice in quella occasione l’esponente della giunta Caldoro annoverato tra i tecnici di area Pdl all’atto dell’insediamento a Palazzo Santa Lucia a metà del 2010 (di professione fa l’avvocato) ma oggi intento a costruire un futuro da politico nelle file del Nuovo centro destra.  Nappi è il padre della riforma del lavoro in Campania avviata sin dall’esordio da assessore con il pacchetto “Campania al Lavoro”. Un piano che oggi, nei numeri del resoconto dell’Arlas (Agenzia per il Lavoro e l’istruzione) contenuto nel rapporto 2013 sul mercato del lavoro, mostra di aver colto nel segno. 

La crisi continua a mordere, l’occupazione è la madre di tutte le emergenze in tutta Europa. La Campania come è messa?

I dati sull’occupazione in Campania – avverte Nappi - sono da osservare con particolare attenzione perché testimoniano il percorso compiuto, sin dal 2010. Siamo partiti da un contesto di svantaggio, sia rispetto al resto del Paese, sia rispetto alle altre regioni del Sud. Oggi non solo siamo la Regione che reagisce meglio alla crisi, ma è evidente che i nostri andamenti sono in linea con gli standard nazionali e decisamente migliori rispetto ad altre zone del Paese.

Ma la disoccupazione giovanile è la più alta da dopoguerra…

Certo ma siamo convinti che le buone prassi messe in campo con il presidente Stefano Caldoro stiano cominciando a mostrare i propri frutti. I risultati saranno più visibili nel medio e lungo periodo come è ovvio che sia per chi ha scelto una politica di programmazione e non fatta di interventi frettolosi ed a pioggia.

Veniamo al tema della qualità: si può parlare di qualità della programmazione?

Certo, è il primo presupposto per lo sviluppo. Conoscere e analizzare una realtà è indispensabile per costruire strumenti e strategie, specie su di un  terreno difficile come quello delle politiche del lavoro e dell’occupazione. La Campania per troppi anni si è presentata sui tavoli che contano in tema di scelte, strategie e assegnazione di risorse con dati di analisi parziali, non aggiornati, incompleti.

La qualità intesa come processo, lavoro, prodotto, formazione, può diventare il jolly per la ripresa?

Si , ne sono fermamente convinto. La crisi è devastante e i suoi effetti sul nostro territorio prima di ogni altra cosa stanno producendo una vera e propria desertificazione industriale in assenza di  politiche di sviluppo di respiro nazionali, mirate, concepite per funzionare non solo in chiave anticiclica ma in maniera strutturale. Manca lo slancio dell’innovazione che spesso si ferma alla fase enunciativa.  

Parliamo di occupazione a viso aperto. Quali sono i numeri?

Si registra, nell’ultimo anno, una lieve crescita malgrado i picchi noti di disoccupazione,  soprattutto giovanile. Ciò è eresta motivo di orgoglio per tutto il 
lavoro, l’impegno e la fatica, molto meno noti, che ci sono dietro. Ed è di questo orgoglio e di questi piccoli passi che vorrei fare strumenti della conoscenza, elementi essenziali per un costruttivo confronto istituzionale e sociale, con tutti gli attori del nostro mercato, a partire dalle rappresentanze politiche e sociali.

Un’analisi sui contenuti?

Il quadro complessivo che emerge dal rapporto è a tratti  incoraggiante, con indicatori tenuamente positivi di crescita dell’occupazione ed in particolare dell’occupazione dei giovani e delle donne. Sebbene molti dei dati che emergono sono duri da digerire: la crisi persistente e il numero di lavoratori che hanno perso il lavoro o  sono fuori dalla produzione; la generale condizione dei giovani,  fortemente caratterizzata da occupazioni
instabili e da elevati livelli  di inoccupazione; la partecipazione delle donne in crescita  nell’occupazione e nella popolazione attiva, ma in posizione ancora 
molto svantaggiata nella qualità del lavoro e nella sua ricerca; la presenza di aree ampie di mercato nelle quali si ricorre sistematicamente  impropriamente alla flessibilità e si fa di questa una trappola per i giovani e per i lavoratori poco qualificati. I dati sulla situazione del lavoro in Campania sono prolifici e meticolosi, e parlano da soli. Dicono che molto è stato fatto e che l’impostazione che abbiamo seguito nel programmare le politiche si mostra valida. Ma dicono anche che molto spazio e molto lavoro ci separa ancora  da una prospettiva di risoluzione del problema del lavoro nella 
nostra terra.

Non sembra mutato il segno di alcune debolezze strutturali, che purtroppo risentono ancora degli squilibri del mercato e sono aggravate dalla crisi economica.

Aristotele diceva che noi siamo ciò che continuamente facciamo.?Per questo motivo l’eccellenza?non è un gesto, ma un’abitudine. In Campania abbiamo imboccato la strada per favorire gli strumenti e i meccanismi più virtuosi, come ad esempio i  percorsi che danno sbocco all’esperienza di lavoro durante lo studio e la formazione e danno sbocco al lavoro dopo il diploma o la qualifica professionale, o la laurea. I percorsi che vedono trasformare un tirocinio o un contratto a termine in un lavoro stabile; le aperture di nuovi e più ampi spazi per l’occupazione di fasce deboli di offerta di lavoro, come i giovani, le donne i lavoratori svantaggiati. La costruzione di un sistema dedicato all’accompagnamento delle politiche passive con interventi e servizi necessari e utili al reimpiego dei disoccupati e dei cassintegrati.

La qualità: se ne parla tanto ma se ne vede poca in giro…

Eppure è l’elemento sul quale deve poggiare il Paese.  L’Italia è economicamente marginale in Europa, non siamo un mercato, siamo pochi. L’unica carta che abbiamo da giocare è sulla qualità del prodotto su cui possiamo rispondere senza contare sulla logica dei numeri.

Il sistema Cina è una opportunità o una minaccia?

Incarna il tema dei numeri. In Cina anche la ricchezza ha numeri molto più significativi che in Europa. Lì il numero dei ricchi è enormemente superiore e non capiremo appieno quel fenomeno se lo limitiamo solo alla scarsa qualità media del lavoro e del prodotto. 

Qual è il segreto della Cina oltre i numeri dunque?

Il fatto di configurarsi come un mercato che accoglie la produzione sia verso il basso sia verso l’alto. In Cina c’è anche qualità. Molte case della moda e del design europeo, della produzione industriale per i consumi della famiglie ormai sono de localizzate in Oriente. E noi ci siamo avviati verso un mercato di bassa gamma.

Cosa intende esattamente?

Penso a Indesit, vogliamo salvarla e facciao bene ma esprime un prodotto di bassa gamma in Europa e non puntiamo, non investiamo sulla qualità. L’Europa non accoglie più la basa qualità. 
C’è anche un tema di diritti e di costo del lavoro di cui tenere conto. 
L’abbassamento del costo del lavoro, la contrattazione decentrata, la differenziazione dei salati per area territoriale come qualcuno propone non sarà più sufficiente a tenere il passo. La vera svolta è mutare pelle, rinnovare e abbandonare la rincorsa verso il basso.

La qualità può diventare un elemento distintivo del Sud e dell’Italia in generale?

Siamo  un popolo disordinato ma che eccelle in alcune arti e lettere. Penso alla scuola meridionale, ai professionisti del Sud - tra i migliori in Europa - all’area tecnico scientifica in cui non abbiamo rivali.

E allora perchè il sistema è bloccato?

Siamo un popolo individualista  che non sa lavorare per il bene comune, che non sopporta le squadre, che vede con diffidenza ogni forma di collaborazione nuova negli assetti, non facciamo rete.

La cura?

Io penso che occorra sperimentare nuove strade per affrontare i nodi irrisolti del paese. Non serve sostenere con incentivi a pioggia un’eccellenza ma servirebbe realizzare le condizioni per portare avanti un’azione di sistema con una filosofia diversa e una macchina amministrativa diversa. Servirebbe un cambio di mentalità coinvolgendo le parti sociali. Ciò presuppone la conoscenza del mercato del lavoro che sto tentando in tutti i modi di sostenere. 

Abbiamo però reti informatiche avanzatissime…

E siamo drammaticamente indietro sul fronte della comunicazione. Se ci sono esperienze positive , cose che funzionano bisogna dirlo. Il Paese ha paura ed è come paralizzato.

Nel 2013 sono aumentati i risparmi nonostante la crisi…

E’ il segno della paura a spendere quel poco che si ha e il timore di non poter comprare quel che serve. Da questo punto di vista si vede un’attenzione nelle richieste di assistenza andando dal litorale verso l’interno. I grandi cambiamenti che pure ci sono passano sulle ali della speranza. Serve una visione di prospettiva.

Qualità anche nella politica?

La politica e il giudizio su di essa è affidata alla capacità di catturare il consenso delle persone.

E la macchina amministrativa?

Occorre un medio e lungo periodo per vedere risultati dell’innovazione introdotta. La scommessa del 2014 è chiudere con la riforma della macchina amministrativa e dare qualità al lavoro. Incrociando domanda e offerta. 
Noi oggi siamo nella fase di passaggio da un sistema clientelare e un sistema che individua e attua strumenti di politiche per il lavoro. Oggi noi abbiamo un modello campano per le politiche per il lavoro che passano per i tirocini in azienda, gli stage, l’apprendistato professionalizzante.

E la Campania delle scienze?

Giovani bravi ma che contano poco…Il vero problema è che su questo versante non c’è un investimento sull’Università. Questa da sola non ce la fa. E l’industria pare ancora poco interessata alla ricerca. Un grave errore. Servirebbero rapporti stabili tra Università e industria?

Alcuni lo fanno, come il settore della Chimica industriale e farmaceutica…

Un’eccezione. In altri casi gli spin-off di ricerca sono virtuali. Abbiamo speso milioni di euro senza mai fare ricerca vera.

La politica?

Dovrebbe fare una seria autocritica e investire sulla qualità delle persone e non sulla loro età. O almeno non solo. L’uomo libero è debole. Lo devi convincere a fare politica. E nessuno lo voterebbe mai. Oggi la politica è vista come fonte di ogni male e corruzione. Mentre ci sono tantissimo colleghi che lo fanno come me per passione e vocazione.

Esiste un chimismo della politica? Direi una creatività che spinge per fare qualcosa per gli altri fuori della dimensione individuale. 

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